Quattro nuovi bagni pubblici inaugurati con orgoglio, e le carrozzine non ci entrano. Il cinema Modernissimo che apre nonostante l’ingresso accessibile non sia ancora pronto, perché i lavori sono in ritardo, ma il cinema deve aprire per forza entro una certa data, pena la perdita di fondi. Scuole nuovissime progettate in modo che ragazze e ragazzi socializzino e si fermino a chiacchierare sulle scalinate, intese non solo come elemento di collegamento fra i piani, ma come luogo da vivere, dove sostare o sedersi per assistere a eventi. Per chi può, ovviamente: gli altri ringrazino se c’è un percorso alternativo, non vorranno mica stare vicino agli amici.
Il parco di Villa Spada rinnovato senza pensare che nella ghiaia le ruote affondano, per cui andrebbe sempre previsto un percorso più solido per le carrozzine. Le Linee Guida per la Visitabilità, il nuovo regolamento che rende obbligatorio avere una rampa per tutti i locali e i negozi, rese inefficaci: con studiato tempismo, l’amministrazione non ha fatto nulla per applicarle per due lunghi anni e poi, al momento della scadenza del termine per adeguarsi, ha potuto dire che ops, non siamo pronti, meglio sospendere le sanzioni fino a nuovo ordine. “Ordine” che doveva arrivare entro novembre, eppure a fine gennaio ancora notizie non ce n’è, i posti restano inaccessibili, i negozianti disinformati, e le persone disabili fuori ad aspettare. Il PEBA, cioè il piano di eliminazione delle barriere architettoniche che sarebbe obbligatorio dal 1986 (non è un refuso: ottantasei) ancora non c’è, adesso sembra che si farà, ma comunque sulla solita microporzione di città, niente di esteso, niente di strutturale.
L’elenco di figuracce sul tema della disabilità potrebbe continuare a lungo, e si corona con le dimissioni della consigliera delegata alla disabilità, Cristina Ceretti, che lascia la delega – chissà se spontaneamente o dietro caldi suggerimenti di partito – ammettendo di aver avuto un ruolo dalle armi spuntate. I diversity manager, fiore all’occhiello (?) dell’amministrazione più progressista d’Italia, sono volontari competenti ma costretti a arrabattarsi come possono, non pagati, senza poteri e senza budget, per provare a indirizzare un’amministrazione che al suo interno non ha competenze specifiche sulla disabilità e spera di sfruttarne di gratuite.
Dopo più di due anni di mandato, l’amministrazione Lepore ci riprova affidando la delega alla disabilità a Luca Rizzo Nervo, già assessore al Welfare, mentre l’ambito specifico dell’accessibilità è stato assegnato all’assessore ai lavori pubblici Simone Borsari.
Si rimescolano le carte, che in fondo sono sempre le stesse: difficile vincere se di carte “buone” non ce n’è. Gli assessori avranno forse, almeno in potenza, più margine di manovra: starà a loro scegliere se usarlo per impostare finalmente un sistema di controllo serio sull’accessibilità della città, incaricando esperti a tempo pieno, o continuare a intervenire a spot sulle segnalazioni di attivisti combattivi, ma ormai stanchi di fare il lavoro di altri segnalando, correggendo, spiegando cose che dovrebbero essere acquisite da quarant’anni.
La Consulta per il superamento dell’handicap, organo consultivo che raccoglie le associazioni del territorio, si riunisce per parlarsi addosso: l’amministrazione non la cerca per chiedere pareri, al limite descrive quanto già deciso. Più spesso la sfugge come la peste, quasi avesse paura di questo pezzo di democrazia. Occasionali guizzi di collaborazione arrivano grazie all’interessamento di qualche consigliere comunale di buona volontà o di un funzionario particolarmente sensibile, ma non c’è un “sistema” che garantisca attenzione alla disabilità su ogni progetto, su ogni iniziativa.
Mentre altre città professionalizzano la cura dell’accessibilità, istituiscono uffici appositi e scelgono disability manager che hanno ruoli tecnici e non solo politici, Bologna gestisce la sfida immensa dell’accessibilità universale solo tramite attivisti stremati, che passano il tempo a tirare la giacchetta di questo o quel politico per ottenere qualche briciola.
La nostra città non merita questo. I residenti, ma anche gli studenti, i lavoratori e le moltissime persone che arrivano a Bologna cercando una città all’avanguardia non possono trovarsi di fronte l’esito scalcagnato di tentativi di accessibilità fai-da-te e progetti che si ricordano delle persone disabili solo nei giorni di luna piena, se per puro caso passano dalle mani del funzionario più sensibile. Di buoni propositi e contentini a spot ne abbiamo avuti abbastanza: è ora di trasformare l’accessibilità universale in un impegno sistematico, strutturale, ineludibile, professionale. O la città è per tutte e tutti, o non è.
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